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Franco Rossi e’ stato uno dei primi giornalisti italiani a occuparsi in maniera seria di calciomercato, dopo decenni di veline o di invenzioni, ma soprattutto e’ stato uno dei migliori figli giornalistici di Gianni Brera. Un figlio che non ha mai tentato di scimmiottare il maestro, a differenza di troppi altri, ma che da Brera fra le altre cose ha appreso il gusto e il piacere della cultura sportiva, nel senso piu’ ampio del termine. E chi ha cultura puo’ permettersi di sostenere anche tesi scomode, spesso ai confini del paradosso, raccogliendo le confidenze di molti potenti senza correre il rischio di diventare il loro zerbino.
Nato a Firenze il 25 settembre 1944, Rossi ha iniziato la sua carriera a Tuttosport, nel 1965 a Torino. Nel 1975 il trasferimento a Milano, sempre come firma di punta di Tuttosport. Dall’87 all’89 al Corriere dello Sport, poi il passaggio al Giorno, della cui redazione sportiva diventa responsabile. Attualmente Rossi e’ un libero professionista, multimediale come nessuno: opinionista televisivo (Telenova) e radiofonico (Radio 101), scrittore (‘Perda il migliore’, Editore Limina, l’ultima opera), appassionato di Brasile e di Sampdoria, editorialista per il Nuovo.it , Avvenire e Tuttosport, ha creato un suo sito Internet, www.francorossi.com , dove dialoga con i suoi lettori e svela sul mondo del calcio retroscena troppo scomodi per i media tradizionali. Incontriamo Franco Rossi nella sua casa-studio di Milano, ipertecnologica e antica al tempo stesso.
Franco, puoi dirci un buon motivo per fare il giornalista sportivo?
Ti pagano per vedere cose che altri pagano per vedere.
I lettori e i telespettatori conoscono le tue idee, ma non sanno niente della tua vita. Partiamo quindi dal privato, dalla tua infanzia.
Quando avevo 18 mesi mia madre mi ha lasciato alla nonna e se ne e’ andata negli Stati Uniti con un nero. Mio padre in quel periodo si trovava in Germania, prigioniero in un campo di concentramento. I miei genitori non erano sposati, e l’ultima volta che si erano visti io non ero ancora nato.
Perdonaci, non sapevamo. Se non ti va non parlarne…
Non c’e’ problema. Mio padre torna dopo la guerra, non trova piu’ mia madre, e dopo qualche anno si rifa’ una vita. Si sposa, ha tre figli, il primo lo chiama addirittura Franco. Quando ho 14 anni muore la nonna, e mi mettono in collegio, a Marsciano.
In seguito hai conosciuto i tuoi genitori?
Si’. Nel 1974 vedo per la prima volta, da adulto, mia madre. Io ho 30 anni: un incontro imbarazzante, non abbiamo niente da dirci. Parliamo di cavalli…pero’ lei mi racconta anche di mio padre, e io mi metto in testa di rintracciarlo. Scopro che ha lasciato la famiglia, e che vive a Milano con un’altra donna. Lo vedo per la prima volta nel bar che frequenta, mentre sta giocando a carte. Non mi dichiaro subito. Lo aggancio con una scusa e dopo qualche settimana diventiamo amici. Inizia un rapporto molto bello, che finisce nel ’79, con la sua morte.
Come e’ iniziata la tua carriera giornalistica?
Nel 1965, a Torino, vado nella redazione di Tuttosport e mi presento a Gian Paolo Ormezzano, che con me e’ subito gentile. Mi chiede una pagina sul golf, sport di cui non so niente, e io esordisco con una intervista esclusiva al famoso Jack Nicklaus. Da li’ parte tutto: per Tuttosport faccio le classifiche dei campionati alla domenica, poi mi mantengo in qualche modo con tante altre collaborazioni. In quel periodo a Torino c’erano grandissimi personaggi calcistici, che rappresentavano la fortuna dei giornalisti: mi riferisco soprattutto a Heriberto Herrera e Nereo Rocco. Mi riescono dei bei colpi anche in sport di cui so poco, come lo sci: mi ricordo di una intervista al futuro re di Spagna Juan Carlos.
Poi nella tua vita entra Gianni Brera…
Era il 1966. A Torino Renato Dionisi fece il record italiano di salto con l’asta, e io mandai un pezzo di 50 righe al Giorno. A Brera piacque cosi’ tanto da farmi mandare un compenso di 50mila lire, una cifra per l’epoca pazzesca.
Cosa e’ stato per te Brera?
Piu’ che un maestro e’ stato un padre. Quando ero in collegio leggevo i suoi articoli e sognavo tanto. Sognavo di fare il giornalista sportivo, sognavo di avere un padre come lui. Brera e’ stato una delle persone piu’ importanti della mia vita insieme al mio padre e a pochi altri.
Negli articoli di calciomercato che si leggono in Italia quanto c’e’ di verita’ e quanto di invenzione?
Al 20 per 100 quello che si legge di calciomercato e’ vero, al 70 per 100 verosimile, al 10 per 100 inventato. Molte volte la notizia e’ vera, ma sono inventati alcuni articolari. Quando nel 1988 l’Inter acquisto’ Madjer diedi per primo la notizia, che era vera, e nell’articolo descrissi nei articolari un pranzo a cui non avevo assistito. Scrivendo che Madjer non aveva voluto carne di maiale ne’ vino, e cose del genere. Meglio fare cosi’, quando la notizia da titolo e’ vera, che elencare centinaia di nomi, tipo lista della spesa.
Chi sono in Italia i migliori giornalisti che si occupano di calciomercato?
Il migliore e’ senza dubbio Enzo Palladini, del Corriere dello Sport. E sono bravi anche quelli di Tuttosport, il giornale che ha capito che il mercato e’ la cosa che alla gente interessa di piu’.
Tutti gli altri vanno a ruota?
No, ci sono anche altri giornalisti che fanno mercato in modo originale. Ma la maggioranza copia. Un episodio: tanti anni fa mi resi conto che Guido Oddo, il giornalista della Rai, origliava le notizie di mercato dai colleghi e poi faceva i servizi per il telegiornale. Allora, con i colleghi Domenico Morace e Franco Esposito, un giorno ci siamo messi a parlare ad alta voce di operazioni incredibili: Pruzzo dalla Roma alla Juventus, Novellino dal Milan al Napoli, e cosi’ via. Alla sera mi chiama il direttore e mi chiede perche’ nel pezzo per l’indomani non ho riportato queste notizie. Io cado dalle nuvole, e solo dopo mi dicono che al Tg1 delle 20 Oddo, che aveva ascoltato le nostre conversazioni, aveva fatto un servizio basato su quelle notizie strampalate.
Meglio i giornalisti della televisione o quelli della carta stampata?
Piu’ bravi quelli della carta stampata. Quelli della tivu’ non sono giornalisti, ma mezzobusti. Tanto e’ vero che quando hanno bisogno di notizie si rivolgono ai colleghi della carta stampata. L’unico televisivo di alto livello era Beppe Viola.
Quale e’ il piu’ grande buco che hai dato nella tua carriera?
Paolo Rossi al Perugia, una notizia che mi diede Ramaccioni. Ricordo con piacere anche Sacchi al Milan: merito di Paolo Mantovani, presidente della Sampdoria, anche lui in lizza per ingaggiare Sacchi. Tacconi dall’Avellino alla Juventus, notizia data 3 giorni prima della finale di Atene con l’Amburgo, con Zoff in porta, fece molto arrabbiare i dirigenti bianconeri.
Il piu’ grande buco preso?
Non mi ricordo grossi buchi presi…forse Causio dall’Udinese all’Inter, nel 1984.
Chi e’ il miglior giornalista sportivo d’Italia?
Giorgio Reineri, sciaguratamente mandato in pensione dal Giorno. Giulio Signori, Mario Fossati, Gianni Clerici.
Franco Rossi, senza limiti finanziari, deve creare una redazione sportiva. Quali sono i nomi?
Giorgio Reineri, Fabio Monti, Roberto Omini, Enzo Palladini, Domenico Calcagno, Cristiano Gatti, Giancarlo Padovan, Paolo Pagani, Michele Fusco, Riccardo Signori, Franco Ordine.
Chi e’ il peggiore, o perlomeno, il piu’ sopravvalutato?
Gianni Mina’: non sa di sport, ed e’ il prototipo del giornalista che si sdraia di fronte ai personaggi potenti che intervista.
Brera non ha eredi?
Poteva essere suo erede Gian Paolo Ormezzano, un talento incredibile che aveva tutto per essere come Brera e che si e’ buttato via a forza di marchette. Si e’ perso per strada Oliviero Beha, uno che aveva e ha cuna ultura sportiva come pochi, ma che e’ convinto di essere perseguitato. Se andasse in analisi sarebbe il migliore. No, Brera non ha eredi.
Tu conosci benissimo Massimo Moratti…cosa gli manca per costruire una grande Inter?
Gli manca Italo Allodi, un dirigente cioe’ che sia la giusta sintesi fra chi pensa in grande, come Moratti, e chi pensa troppo in piccolo, come alcuni suoi attuali collaboratori, tipo Oriali. Ci vuole una persona che permetta a Moratti di fare solo il presidente, perche’ lui e’ il migliore presidente dell’Inter possibile.
Quindi all’Inter occorre Luciano Moggi?
Uno come lui, o come Franco Dal Cin, o come Pantaleo Corvino.
Quale e’ la persona che ti ha piu’ deluso nel mondo del calcio?
Il primo che mi viene in mente e’ Marcello Lippi. Quando allenava la Carrarese continuava a telefonarmi e a chiedermi di dargli una mano, poi si e’ montato la testa. Soprattutto quando e’ arrivato all’Inter. Mi hanno deluso tutte quelle societa’ che da quando non dirigo piu’ la redazione sportiva del Giorno hanno smesso di farmi anche solo gli auguri di Natale. Societa’ come Juventus e Milan.
Cosa ha tolto e cosa ha dato il giornalismo alla tua vita sentimentale e di uomo?
Mi ha dato tante opportunita’, che uno come me, senza nemmeno la terza media, in altri settori non si sarebbe mai potuto sognare. Per il resto, a me come a tanti altri, ha imposto una vita senza regole e senza certezze. Il giornalista ideale deve essere orfano, scapolo, e senza figli. Io sono molto vicino a questo ritratto: il mio unico matrimonio, celebrato in Scozia, e’ durato pochissimo.
Fra le tante tesi controcorrente che hai sostenuto c’e’ la critica al gioco di Arrigo Sacchi. Non adesso, ma quando il Milan di Sacchi dominava nel mondo..
Premessa: gli allenatori non sono cosi’ decisivi come si crede. Per questo ce l’ho piu’ con il sacchismo che con Sacchi. All’inizio del suo primo anno di Milan la societa’ rossonera voleva esonerarlo, dopo l’eliminazione dalla Coppa Uefa. Fedele Confalonieri aveva addirittura gia’ aggiunto un accordo con Nedo Sonetti. Poi il Milan batte’ il Verona uno a zero, con gol di Virdis, e si riprese. Un gol su azione da calcio piazzato, il gioco di Sacchi non c’entrava niente.
Il tuo ultimo libro, ‘Perda il migliore’, ha avuto un grande successo, tanto che si sta preparando la sua traduzione in giapponese. Ma adesso sei lanciato nello sviluppo del tuo sito, www.francorossi.com…Internet e’ il futuro del giornalismo?
Non lo so. Di certo permette a chiunque, con poca spesa, di esprimere liberamente le proprie idee.